giovedì, aprile 03, 2008

Io, Dalì e la quarta dimensione, viaggio nella geometria fantastica

Un grande scienziato incontra un genio della pittura. Dieci anni di lavori in comune, alla scoperta di nuove frontiere della creazione. Come quella della scultura di un cavallo che va dalla Terra alla Luna

Di THOMAS BANCHOFF


I MIEI RAPPORTI con Salvator Dalì, durati dieci anni, iniziarono nel gennaio 1975 quando 9 Washington Post dedicò un articolo al nostro lavoro sull'uso della computer grafica interattiva nello studio dei fenomeni nella quarta dimensione. Nella foto che corredava l'articolo mostravo un modello pieghevole dell'ipercubo che avevo ideato, una rappresentazione della figura centrale utilizzata da Dalì vent'anni prima nella sua pittura. Fu la foto di quel dipinto in un riquadro defia pagina ad attirare l'attenzione dell'artista. Nel marzo di quell'anno fui contattato da un rappresentante di Dalì e invitato, assieme al mio collaboratore Charles Strass, esperto di computergrafica, a recarmi a New York per conoscere il pittore. Fu il primo di una serie di incontri stimolanti. Dalì aveva appena completato un progetto di scultura utilizzando ologrammi e si stava accingendo a una nuova impresa, la pittura a olio stereoscopica. Voleva consultarsi con noi su questioni tecniche, tra cui l'utilizzo delle lenti di Fresnel per visualizzare immagini affiancate senza ricorrere ad un sistema di specchi. Gli mostrai alcune delle nostre immagini in un visore stereoscopico e si mostrò molto interessato a vedere altre nostre tecniche, inclusi i film stereoscopici (in 3D). Mi colpì la sua padronanza di queste moderne tecniche di visualizzazione, che andava oltre H livello di nozioni fornito dalle riviste scientifiche divulgative.


In quell'occasione chiesi a Dalì da dove gli fosse venuta l'ispirazione per la sua Crocifissione e appresi con stupore dei legame con Raimondo Lullo. Si dà il caso che avessi appena letto De Nova Geometria di Lullo e Dalì fu sorpreso che non fossi estraneo all'argomento. Tra il 1975 e il 1985 andai a trovarlo tutte le volte che venne a New York, nonché una volta a Parigi e due in Spagna. Ogni volta voleva vedere i nostri nuovi progetti e ci mostrava le opere che aveva in cantiere, soprattutto quelle che avevano a che fare con la matematica.
Nelle categorie di questi progetti rientravano i dipinti che, cambiavano forma a seconda della distanza del punto di osservazione, nonché opere che includevano particolarità geometriche, soprattutto ispirate all'opera di René Thom, insignito nel 1958 del Nobel dei matematici, che sviluppò la teoria delle catastrofi. Nel 1975. due settimane dopo il primo incontro con Dalì, fummo invitati a tornare da lui per mostrargli alcuni dei nostri film stereoscopici. L'oggetto di un film in 3D era una superficie descritta per la prima volta da Giuseppe Veronese (1854-1917). Dalì guardò la sequenza delle proiezioni con l'ausilio di occhiali stereoscopici ma fu deluso dagli effetti, li attendeva più spettacolari. Ma queste immagini della superficie di Veronese divennero le sue preferite quando in seguito si interessò alla teoria delle catastrofi. Nel 1976 portammo con noi alcuni dei nostri primi videotape relativi alle superfici nello spazio quadridimensionale
Nell'occasione vedemmo in fase di lavorazione un'opera di uno dei dipinti più riconoscibili di Dalì, ovvero Gala guarda il mar Mediterraneo (seconda versione, la prima fu realizzata nel 1974-75). Nel 1973. sulla rivista Scientific American era apparso un articolo sullo studio condotto da Leon Harmon e Bela Julesz presso i laboratori Bell sul riconoscimento dei volti. I ricercatori presero un noto ritratto di Abramo Lincoln e lo scomposero in un centinaio di quadrati grigi. A una certa distanza il volto di Lincoln diventava immediatamente riconoscibile. Dalì prese quell'illustrazione e la trasformò in un quadro con Gala che guarda fuori dalla finestra. Osservandolo all'opera vidi come otteneva l'effetto. Aveva un paio di occhialini da teatro che usava al contrario, così che la tela sembrasse a venti metri di distanza. Poi andava a variare lievemente il colore di un quadrato e tornava indietro per ottenere di nuovo la visione a distanza. Fu emozionante e il dipinto divenne famosissimo. Acquistai una copia di una stampa e a un certo punto Dalì la firmò: «A’ mon ami, Banchoff, Hommage de Dalì».


Dalì aveva già creato vari dipinti che assumevano forme diverse da distanze diverse, ad esempio Il teschio di Zurbaran (1956) e Cinquanta dipinti astratti. A entusiasmare Dalì fu l'uso della computergrafica per dar luogo ad un nuovo approccio. Nei suoi dipinti stereoscopici a olio Dalì partiva da fotografie che poi modificava. Era già ricorso alla prospettiva esagerata ne Lo spettro di Vermeer che può anche servire da tavolo e usò lo stesso espediente in Dalì sollevo la pelle del Mediterraneo per mostrare a Gala la nascita di Venere (1917). Fu più o meno in quel periodo che Dalì ebbe l'idea del progetto del cavallo. Ho i suoi schizzi di un cavallo di trenta metri che sarebbe apparso normale solo da una precisa angolazione. La testa sarebbe stata vicina allo spettatore, le ampie spalle a una certa distanza e l'enorme posteriore molto lontano.


L'anno successivo, il progetto era diventato una scultura di 300 metri con il posteriore su una remota montagna. Nel 1981, quando andai a trovarlo a Parigi, Dalì voleva che le spalle fossero su una montagna lontana e il posteriore sulla luna. La scultura sarebbe stata visibile solo da un punto particolare a un'ora particolare. Il cavallo non sarebbe stato mai costruito. Nel 1980 Dalì mi chiese se conoscessi il matematico René Thom e rimase colpito quando gli dissi che l'anno successivo avrei condotto le mie ricerche proprio nell'istituto in cui Thom era titolare. Ancora più fu colpito l'anno dopo, quando gli comunicai che avevo scritto un articolo assieme a Thom, basato sull'analisi di una particolarità osservata per la prima volta in un filmato che avevo in precedenza mostrato a Dalì. Il film faceva parte della nostra presentazione al congresso internazionale dei matematici di Helsinki, in Finlandia nel 1918, e ne mostrai una versione a Dalì in occasione di uno dei nostri ultimi incontri, nel 1983, al castello di Pubol, a sud di Barcellona. Mentre osservavamo la superficie di Veronese, Dalì diceva: «C’est merveilleux» e indicava entusiasta ogni qualvolta avveniva un cambio di forma corrispondente a una delle catastrofi ombelicali di René Thom.

alessio

3 commenti:

Marco tartaruga ha detto...

Ma chi è Dalì?
Nel senso... era un comune essere umano?
Cisono persone che ti trasmettono qualcosa. io non gli giudico umani normali.
In loro c'è qualcosa di MAgico.
DFalì è uno di questi

Anonimo ha detto...

dillo forte!!!marco

sono persone non normali...sin dalle piccole cose quotidiane!
il genio però viene apprezzato per molte cose, ma per altre...
pensa che Dalì da bambino getto dal ponte un bambino, solo per vedere cosa succedeva!
come si dice, genio e follia!


simone

Thom.mas ha detto...

Illuminante. Finalmente qualcuno dà la possibilità di leggere i significati matematici delle opere di Dalì. Grazie per aver postato. La spiritualità viscerale continua ad essere digerita.